La passeggiata è partita dal Circo Massimo, proprio tra i due colli che hanno visto l'evolversi della creazione della città di Roma, secondo la leggenda: il Palatino e l'Aventino. Proprio in questa zona, infatti, giunse la cesta contenente i due gemelli, dalla cui competizione sarebbe nata la città.
La leggenda vuole che Rea Silvia, in quanto vestale, avesse fatto voto di castità. Il Dio Marte però, invaghitosi di lei, le fece dare alla luce i gemelli Romolo e Remo. I bambini furono affidati alla corrente del Tevere, all'interno di una cesta, che si fermò nella zona del Velabro, in passato paludosa e soggetta a frequenti allagamenti. Una lupa, che era scesa fino al fiume per abbeverarsi, udendo il pianto dei bambini si avvicinò e iniziò ad allattarli. Solo successivamente il pastore Faustolo trovò i due neonati e, dopo averli portati nella sua capanna, decise insieme alla moglie, di riconoscerli come suoi figli.
Romolo e Remo vennero a conoscenza delle loro origini e, con il consenso del nonno Numitore, tornarono sulle rive del Tevere per fondare una nuova città; ma la questione non era così semplice:
"..siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli auspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione.." (Livio, Ab Urbe condita, I, 6-7)
I due gemelli litigiosi salirono sui due colli che costeggiano il Circo Massimo, il Palatino e l'Aventino, e attesero che si manifestasse il presagio degli dei. Remo avvistò dall'Aventino sei avvoltoi. Subito dopo Romolo ne vide 12 dal Palatino. Insomma, la lotta per la fondazione di Roma fu tutta una questione di uccelli e Romolo, per porvi fine, pensò bene di uccidere il fratello, minacciando poi di morte chiunque avesse tentato di scavalcare le mura della sua città.
Ma tornando alla zona del Velabro, in cui sarebbe approdata la cesta dei gemelli, è interessante notare come in passato fosse soggetta alle inondazioni del Tevere. Proprio qui, tra il Foro Boario e il Vicus Tuscus, si erano sviluppate numerose attività commerciali che continuarono ad esistere almeno fino alla disastrosa alluvione del 589.
Del Foro Boario, antico mercato della città di Roma, sono visibili ancora oggi due tempi, uno dal perimetro circolare dedicato ad Ercole Vincitore ed uno a pianta rettangolare dedicato al Dio Portunus, non a caso divinità fluviale.
Con il contributo di commercianti e banchieri della zona venne costruito l'Arco degli Argentari, una piccola porta da cui anticamente si poteva accedere al Foro Boario (gli argentari erano dei cambia valuta, i banchieri dell'epoca, poiché le monete erano proprio in argento).
Come si legge ancora dall'iscrizione la porta era un tributo celebrativo dei commercianti e dei banchieri per la famiglia reale: Settimio Severo, Caracalla, e Geta.
Nel bassorilievo di destra sono ritratti Settimio Severo, con il capo velato, in veste di sacerdote che celebra un sacrificio, e sua moglie, Giulia Domna. A sinistra invece il bassorilievo ritraeva i due figli di Settimio Severo; ma quando questi si scontrarono per prendere il potere, Geta fu ucciso e per lui fu decretata la damnatio memoriae con la conseguente abrasione del suo nome e delle sue raffigurazioni.
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RispondiEliminaBest wishes: Geraldo